Geniali trovate del regista, ci si sente coinvolti in qualcosa che toglie il respiro, il trasporto è tale da sentirsi “uno di loro”

di Andrea Dispenza (www.saltinaria.it, 15 ottobre 2010)

Dal 12 al 24 ottobre. Winston Smith e Pietro Taricone. Il protagonista di uno dei capolavori della letteratura, 1984, e il volto del fenomeno-reality in Italia, a tal punto da trasformare la sua intera vita in un prodotto televisivo, compresa la nota e tragica morte avvenuta, anch’essa, sotto l’occhio delle telecamere. Chissà se i concorrenti della nuova edizione del Grande Fratello, che sta per cominciare, sono a conoscenza del fatto che in realtà non è nato tutto in una casa spiata dalle telecamere, ma in uno Stato intero, di una Terra in guerra costante, dove ogni cittadino era obbligato a sottostare al regime. Da qui parte il regista Simone Toni per il suo 1984.

2+2 = 4, fino a prova contraria. Ma se un regime, un partito, un potente qualsiasi al di sopra di te ti costringe a dire che fa 5, questo deve necessariamente essere il risultato. Se qualcuno prova ad opporsi subirà un lento e doloroso processo, una tortura fisica e psicologica per obbligarti a credere che 2+2 alla fine farà 5. Ecco come un uomo viene annientato, non ha più nessuna facoltà, si dimentica, addirittura, del fatto che possa pensare da solo, con la sua testa s’intende. È continuamente sotto sorveglianzadall’occhio del Grande Fratello, un’autorità che nessuno ha mai visto e che si serve di monitor e telecamere. Il cittadino non ha più dei vestiti, ma delle tute blu uguali per tutti, e non può nemmeno sfogarsi con del sano sesso, perchè il regime lo vieta: lo si può fare ma senza provare piacere e solo per procreare. La psicopolizia controlla che tutti eseguano i loro lavori forzati e che credano a ciò che gli viene raccontato, in una Terra di un anno lontano (all’epoca il 1984 appunto) rosicchiata da un’eterna battaglia tra popoli.

Ma come riuscire a trasportare pagine che hanno determinato la cultura dell’uomo in unapièce teatrale senza perderne l’importanza e il significato? Difficile. L’unica arma da usare è quella di mettere in mezzo proprio l’uomo, quello che agisce e quello che guarda. Confondendolo, annullandolo addirittura, proprio come facevano quelle pagine preziose.

Il regista Simone Toni ci riesce bene e trasforma tutto in qualcosa di metallico e soffocante anche per lo spettatore. Gli attori entrano in scena come automi, non parlano, singhiozzano disagi e paure di una situazione inconcepibile e claustrofobica. Si muovono a scatti, sussurrano minacce e consapevolezze, come quelle di essere spiati: “il Grande Fratello ti guarda, il Grande Fratello ti guarda”. Ripetono gesti meccanici come se fosse una serigrafia impazzita, si respira per una buona parte iniziale quell’ansia di dover fare tutto – ma tutto poi cosa? – e in maniera precisa perché c’è qualcuno che giudica. Non si sa chi o dove. L’uomo seduto in platea è completamente dentro a quel grigio che riempie il cervello dell’uomo vittima del potere totalitario sul palco. Mentre è attento a udire quei bisbigli sente dei rumori da dietro, percepisce delle cadute dai lati, viene sorpreso dalla voce narrante dall’alto, sulla balconata. Non si capisce bene dove ci si possa trovare, ci si sente in qualche modo coinvolti in qualcosa che toglie il respiro. Poi comincia la sceneggiatura, le parole di Orwell prendono vita così come a metà degli anni ‘50 sono state concepite dallo stesso autore, con lo stesso sentore di omologazione precaria tra i suoi personaggi. Il regista sdoppia i monologhi, fa in modo che un uomo sia interpretato da due attori contemporaneamente, a volte anche da tre, ingarbuglia fino a quando non annienta. Come se chiunque potesse diventare protagonista della scena, oppure nessuno, come se da esseri umani si passi a sembrare delle marionette mosse dai fili di un potente sistema. La bravura è tale da non provare nessun effetto, per il potente che annulla il cittadino di questa realtà crudele e immaginaria, per il cittadino stesso che diventa lentamente un’ameba, per i corpi nudi dei due ragazzi innamorati che infrangono le regole (il regime infatti vieta di innamorarsi) che poi saranno scoperti e “lavorati” dalle macchine del totalitarismo fino ad arrivare a sopprimere anche quanto di più intimo, il sentimento umano.

Non si reagisce alla fuga clandestina, alla messinscena di frasi shock come quella secondo cui libertà significa poter affermare tranquillamente che 2 + 2 fa proprio 4, ma pare impossibile. Annullato anche lo spettatore. Chi controlla il presente controlla anche il passato, e se non si è in grado di reagire non è perché il pubblico è annoiato o la recitazione non è abbastanza efficace, tutt’altro: il trasporto è tale da sentirsi “uno di loro”, da credere di aver commesso qualche reato semplicemente da seduti mentre si assiste, da essere, dunque, quasi consapevoli che qualcuno ha controllato il passato di chi è seduto ad osservare uno spettacolo teatrale. Si esce di lì straniati, si ha paura della maschera che forse è una spia del Grande Fratello. Poi ci si rende conto che lo spettacolo è finito. Si respira, e si pensa alle geniali trovate del regista per rendere il tutto al passo con i tempi: una propaganda militare dall’accento vagamente legato ad Arcore, un nemico che annichilisce con la maschera di Bin Laden, una portinaia dall’accento siciliano che ad un tratto spunta e racconta come va a finire. Oppure il membro del partito che cade durante gli applausi finali. Una giusta punizione, se pur involontaria.

Per poi arrivare a oggi, spunto di riflessione a cui Toni e la sua compagnia ti porta a riflettere: assurdo pensare come lo stesso concetto sia così cambiato nel tempo. L’essere spiati ora diventa un fenomeno di costume per l’auditel, il Grande Fratello resta una telecamera, ma quella di un meccanismo televisivo che fa discutere, crea nuove tendenze e condiziona fortemente la vita del popolo del televoto. I concorrenti sono entusiasti ed esaltati, sanno di finire in tv ma in pochi sapranno l’origine di questo esperimento di cui sono le cavie: la telecamera in origine, quell’occhio del Grande Fratello, era un modo per spiare e punire senza ragioni precise, solo per far capire che uno si sveglia una mattina e decide di essere il più forte. Un modo per pubblicizzare uno slogan: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.

Poveri concorrenti di ora, non poi troppo distanti dai cittadini del 1984, ridicolizzati un pochino di più, fino a quando il sistema da spettacolo diventa cronaca nera, anche l’amara e improvvisa morte di Taricone diventa oggetto da spiare momento dopo momento e neanche così ci si stanca.